giovedì 21 maggio 2015

ORA ET LABORA

Ora et Labora
ossia 
la dimensione verticale del nostro “fare”

impiegati, artigiani, manager, casalinghi e disoccupati. Scale di valori, gerarchie, lauree e non: un gran calderone di persone con la propria identità, con la propria vita e “data di scadenza”.
È indubbio che il denaro costituisca, assieme alla possibilità di decidere per sé e per gli altri, una grande attrazione: per ognuno di noi. E spesso la nostra vita, il nostro lavoro è orientato per il raggiungimento di tali obiettivi. Tra l'altro sono i più pubblicizzati e promossi dal nostro sistema. Giorni fa ho ascoltato in una intervista televisiva Mario Monicelli che, ad una domanda degli intervistatori su quale fosse il tabù del nostro tempo, ha risposto dicendo: “l'onestà, a tal punto che oggi è sconveniente parlarne, se non in circoli chiusi o con i bambini”.
Ne sono rimasto colpito perchè ho riconosciuto tale affermazione come vera.

Molti grandi uomini sostengono invece la necessità di relativizzare le azioni umane; di valutare anche, e con molta attenzione, la variabile “tempo” cioè i nostri giorni da spendere, inevitabilmente limitati. E quindi di dedicare spazi anche a valori intangibili, quali l'amore (in senso esteso) e, addirittura, di riorganizzare la nostra attività lavorativa anche secondo tali orientamenti: cosa sicuramente ardua quando i numeri dei bilanci ci inseguono.

Per noi, miseri mortali, si pongono quindi due scelte possibili: la prima suggerisce il “massimo profitto” ad ogni costo e nel minor tempo possibile (ovviamente) – atteggiamento molto attuale.
La seconda, quella del “relativizzare”, ci propone un orizzonte più ampio, del non misurabile, del benessere interiore, del sorriso, dei valori umani.
Porta stretta, strada impervia, profumo di fiori contrapposto ad oggetti tangibili: una dura battaglia quotidiana e personale.

La domanda allora sorge spontanea: ma sono proprio due scelte contrapposte, oppure c'è una relazione tra di esse ? Una è in funzione dell'altra ? E se sì, in che modo ?

Personalmente, questa semplice e terrificante domanda mi alleggerisce l'animo e mi rallegra.

Editoriale del n. 17 di BiologicamenteCasa (marzo 2009)

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